… Predictive Programming
Articolo un po’ lungo ma che credo troverete interessante.
Con l’esperimento di Milgram abbiamo visto come l’autorità percepita in termini benevoli e la presunzione d’impunità possano portare chiunque a compiere gli atti più crudeli. Con l’esperimento di Asch abbiamo visto invece quanto l’individuo sia soggetto alla pressione del consenso sociale, al punto da poter accettare come vero ciò che razionalmente riconosce come palesemente falso, pur di conformarsi al gruppo.
Sebbene i due esperimenti siano sostanzialmente differenti, essi esplorano dimensioni comuni della psicologia umana. Il rapporto tra l’autodeterminazione individuale (della morale nel caso di Milgram, della logica nel caso di Asch) e l’autorità (palpabile nel caso di Milgram, impalpabile nel caso di Asch).
In entrambi i casi l’individuo è forzato nel dubbio dalle circostanze, e indotto ad una scelta consapevolmente errata da una situazione sociale asimmetrica; in un caso, Milgram, l’individuo è di fronte ad una persona autorevole (il dottore); nell’altro, Asch, di fronte a suoi pari, ma in netta minoranza.
In entrambi i casi il potere ottiene il risultato voluto, semplicemente creando la situazione e ponendo l’individuo in una condizione di inferiorità. Qualitativa nel caso di Milgram, quantitativa nel caso di Asch.
In entrambi i casi la relazione di potere non si manifesta materialmente. Nessuno obbliga l’individuo a compiere una scelta, non esiste ripercussione. La condizione d’inferiorità è puramente percettiva, esiste solo nella mente dell’individuo, nel suo Spazio Mentale. In quello che in guerra psicologica viene definito il Mind Space.
Nell’esperimento di Milgram il dottore è presente davanti all’individuo, a manifestare la benevola intenzione dietro un esperimento scientifico nei fatti crudele; nell’esperimento di Asch l’individuo è posto fisicamente di fronte al giudizio del gruppo.
Si pone quindi il problema di come materializzare l’immaginario di un’autorità benevola e di un’opinione di gruppo dominante anche in assenza di fisicità della situazione.
Ed è qui che entra in gioco la Programmazione Predittiva.
Se un potere reale (intrinsecamente malevolo in quanto sovra-determinante) pianifica una situazione propedeutica ad un risultato predeterminato, dovrà far in modo da essere percepita come autorità benevola (Milgram) e creare anticipatamente la percezione del consenso di gruppo desiderato (Asch) attorno ad una tematica.
La programmazione predittiva viene attuata attraverso messaggi mediatici, spesso non espliciti. Ha lo scopo di creare in anticipo delle risposte cognitive o emotive a predefiniti stimoli. E’ tipicamente visiva in quanto il nostro Spazio Mentale è sostanzialmente visivo. E’ attuata con largo anticipo ed in modo diversificato al fine di raggiungere la più ampia popolazione e al contempo lasciare poche tracce dell’operazione d’impianto. E in modo non sfacciato per non essere notata.
Per questo motivo la TV ed il Cinema la fanno da padrone. Nell’immagine di copertina di questo articolo ho scelto due esempi: “Rain Man” del 1988 e “Contagion” del 2011. Cinematograficamente parlando, Rain Man è un discreto film con un ottimo cast, Contagion è immondizia. Ma l’aspetto artistico non ci interessa. Ovviamente i due film si rivolgono evidentemente a componenti demografiche e generazionali differenti.

Rain Man, in breve, tratta dell’avventura stravagante e divertente dei due protagonisti, Dustin Hoffman e Tom Cruise. Cruise è un giovane sui vent’anni che porta a spasso il cinquantenne Hoffman che soffre di autismo. Il film ruota attorno ad una rappresentazione leggera ed emotiva del male di Hoffman.
L’autismo di Hoffman si manifesta con l’incapacità di palesare le emozioni, abitudini maniacali ed introverse compensate da straordinarie capacità mnemoniche. La natura ed origine di tale male non si manifesta nella sceneggiatura del film. In effetti, stando al film, l’autismo non appare come manifestazione di danno neurologico ma piuttosto come una sindrome emotiva, quasi caratteriale.
Quando vidi tal film frequentavo l’ultimo anno di liceo. Per me come per tutti quelli della mia generazione l’autismo era una parola sconosciuta. Il Rain Man rappresentato da Hoffman appariva come l’umanizzazione di un essere alieno. Prima del film non avevo mai visto una persona autistica in circa 19 anni di vita. Di fatto prima di allora non avevo mai incontrato né una persona autistica né tanto meno incrociato la parola autismo.
Lo scopo del film è appunto quello di normalizzare la condizione autistica e di attenuarne da un punto di vista percettivo la gravità. E di evaderne, per omissione, le eventuali potenziali cause.
Ma c’è di più. La locandina del film, oggettivamente magistrale, è emblematica. Il ventenne Cruise (mia generazione) accompagna un uomo autistico sui 50 anni; il problema rappresentato cinematograficamente nel 1988 viene traslato retroattivamente nel tempo di 50 anni, negli anni ’40.
Quello di Rain Man è uno straordinario esempio di Programmazione Predittiva di chi aveva interesse ad aprire il capitolo autismo e a rinchiuderlo in una cornice predefinita dell’immaginario. Perché quando il problema si aprisse nel mondo del reale (e così sarà), l’impianto mnemonico programmato nella mia generazione facesse il suo lavoro; e chi si ponesse nella condizione di sindacare gravità e cause dell’autismo, si trovasse nella consapevolezza di essere in inferiorità, in un contesto di gruppo il cui consenso accettasse l’autismo come la normalità; una normalità addirittura pre-esistente da un punto di vista generazionale: l’autismo non è poi così grave, ed è sempre esistito.

Contagion copre una tematica di attualità. Il film è stato realizzato a valle dell’influenza H1N1 del 2009, e tratta gli eventi scaturiti da una nuova ipotetica pandemia causata dal virus MEV-1.
Ma non è la paura da pandemia a rappresentare il vero scopo manipolativo del film, perché si era appena usciti dalla pandemia H1N1 che era morta sul nascere. E la programmazione predittiva consiste nel costruire un immaginario futuro. La programmazione predittiva di Contagion si realizza nel modo in cui la pandemia viene presentata, nell’immaginario e nei corto-circuiti mentali che cerca di impiantare nello spettatore, per scopi futuri.
Nel film il virus MEV-1 inizia a diffondersi, partendo da Hong Kong. Il virus è molto letale e porta alla morte nell’arco di due giorni dai primi sintomi. L’OMS e il CDC statunitense si mettono all’opera immediatamente per trovare un vaccino. Dopo aver combattuto contro le fake news si perviene in tempo record ad un vaccino. Una delle protagoniste, un’epidemiologa del CDC, sperimenta su di se il vaccino per saltare le lungaggini autorizzative previste. Il vaccino viene autorizzato e somministrato. Il virus si scoprirà che era stato generato da un pipistrello.
Già la trama sembra un manuale operativo della narrazione degli eventi avvenuti 9 anni dopo l’uscita del film.
Ma se la trama nel suo complesso può rimanere fino ad un certo punto nella mente dello spettatore, quelli che permangono sono i singoli impianti mnemonici e riflessi condizionati codificati nelle immagini e nelle parole.
Il CDC e l’OMS, organizzazioni pressoché sconosciute agli spettatori, vengono rappresentate come organizzazioni benefiche fatte di scienziati dediti al bene dell’umanità. In una delle prime scene del film, nella carrellata che accompagna una delle epidemiologhe mentre si avvicina ad una lavagna per esaltare l’importanza di trovare un vaccino (dove introdurrà il concetto di R0 e di come il vaccino abbia ridotto il tasso di contagio della Polio), la telecamera esita di fronte ad un’immagine che ritrae una vaccinazione, veicolando un chiaro messaggio subliminale.
L’epidemiologa si dispererà perché ci vogliono almeno 4 mesi per l’approvazione del vaccino. In realtà l’approvazione di un vaccino richiede anni, ma il film gioca d’anticipo sulla coscienza dello spettatore impiantandogli l’idea che possano bastare pochi mesi (2 in questo caso).
Il virus uccide nel giro di poche ore dai sintomi eppure è estremamente contagioso. Ciò non ha senso. Ma anche qui il film gioca d’anticipo sullo spirito critico dello spettatore introducendo l’assunto che il contagio avvenga attraverso persone asintomatiche.
Le cure ovviamente non esistono e non vengono mai menzionate, impiantando nello spettatore l’idea che di fronte al male la normalità preveda il vaccino e non la cura. Non solo; la cura ventilata da alcuni (forstizia) si rivela una fake news che ostacola la strada verso il vaccino.
E sono fake news anche le voci sull’origine artificiale del virus; ovviamente naturale, originato da un pipistrello, quindi trasmesso ad un maiale, quindi all’uomo in un mercato di Hong Kong. Ovviamente in Cina.
Le strade sono popolate di persone in mascherina, sebbene nessuna nelle realtà epidemiche precedenti (inclusa l’N1H1) ne avesse mai fatto utilizzo. Ma nel film ciò viene presentato come un’ovvietà.
E’ un vero proprio manuale di programmazione predittiva, che serve ad innestare immagini di normalità che normali non sono e a creare corto circuiti logici che anticipino il ragionamento riflessivo, portando la persona sulle conclusioni attese.
Un manuale somministrato col debito anticipo, perché nello spettatore deve rimanere il seme pronto a germogliare al momento giusto. Ma lo spettatore non deve ricordare chi quel seme l’ha impiantato. Le immagini devono apparire sfocate come se fossero sue lontane memorie. I corto-circuiti logici come riflessi istintivi per consuetudine.
Nella Programmazione Predittiva l’immaginario sovrascrive il reale.
Un caro saluto.