Ho sempre avuto una sincera antipatia per il termine Nazifemminismo, perché tale termine rende suscettibile il merito della discussione alla tattica della derisione per delegittimare l’interlocutore. Il termine, però, è tutt’altro che inappropriato. I paralleli sono tanti, ma non mi dilungherò in tale dissertazione e mi limiterò ad enuclearne uno, la matrice identitaria.

Come il nazismo ha sviluppato la propria matrice identitaria attorno al profilo etnico di razza “ariana” al fine di poter legittimare il nemico da eliminare, così il femminismo ha sviluppato la propria vocazione identitaria attorno al profilo genetico di una razza femminile onde poter definire i contorni del suo naturale nemico, la razza maschile.

La storia ce lo insegna; l’identità di gruppo si sviluppa senza particolari artifici per via di meccanismi sociali naturali; l’embrione è sempre lo stesso: nuclei minoritari che fanno leva sul proprio status di vittima per evadere il giudizio morale, lo scrutinio intellettuale e talvolta anche la legge. Nell’apatia di una maggioranza disaggregata, disinteressata e non contrapposta, questi nuclei crescono per cooptazione; è una crescita disorganica, in cui le istanze rivendicative cambiano pur di assecondare i nuovi gruppi demografici cooptati, fino a quando la minoranza muta in una difforme e incoerente maggioranza. Un gruppo il cui unico collante è la presenza di un nemico da abbattere.A-womens-liberation-demon-009

E’ un meccanismo sociale noto, e si basa sulla fomentazione continua della paura.

E’ così che il femminismo cambiava le sue pelli, muovendosi da istanze iniziali di autodeterminazione femminile, per poi teorizzare sovrastruture, fino a fagocitare al suo interno le istanze delle minoranze più disparate (omosessuali, trans, minoranze etniche), incurante delle contraddizioni che assorbiva ed alimentava. Tutto pur di poter profilare e rendere minoranza il suo nemico di sempre; il maschio, bianco ed eterosessuale. L’emblema, nella paranoica visione femminista della società, del potere.

Potere, potere, null’altro che potere. Al femminismo della donna non importa nulla; non è mai importato nulla.

Diana Russell coniava (o quantomeno sviluppava) il concetto di femminicidio, alcuni decenni fa; un concetto razzista, secondo cui le donne sono uccise dagli uomini in quanto donne. Un concetto osceno che ovviamente abbiamo preso ed adottato, grazie al meccanismo della “cooptazione in apatia”. La stessa Russell aveva le idee chiare da quel dì; il femminicidio non serviva a combattere la violenza sulle donne (lei stessa aveva osservato che i delitti sulle donne erano aumentati in concomitanza con lo sviluppo del femminismo). Per lei affermare il concetto di femminicdio era, ed è, uno strumento puramente politico per affermare il teorema dell’odio di genere: l’uomo esercita violenza sulla donna, in quanto donna; in sostanza l’uomo è il nemico naturale della donna.

Accettare l’anima misandrica, e sostanzialmente eugenetica, del femminismo è difficile ancora a molti, per il meccanismo suddetto della cooptazione graduale nell’apatia generale. Ma il quadro risulterà via via più chiaro a mano a mano che si faranno spazio negli ambiti educativi i concetti di violenza di genere (che risuona col concetto di violenza razziale, non vi pare?), di privilegio maschile, eccetera. Concetti per adesso mimetizzati in nebulose “iniziative di genere”.

Col tempo hanno dovuto prenderne atto illustrissime femministe d’oltreoceano, quali C. Hoffsommers, C. Paglia, J. Fiamengo. Un discernimento avvenuto tardi, non prima di aver adempiuto il loro servile compito. Servile senza accezioni dispregiative. Semplicemente i servi non hanno cognizione di causa. Ma gli ideologhi, sì.

Sono infatti le parole delle ideologhe del femminismo radicale che si fanno strada, attraverso media e accademia, fino a costruire la narrazione di iniziative istituzionali e di trattati internazionali quali la Convenzione di Istanbul.cdn.mg_.co_

Valerie Solanas è un nome che dirà poco a molti; a qualcuno ricorderà solo il tentativo di omicidio di Andy Warhol. Pochi la ricondurranno al manifesto SCUM (Society for Cutting Up Men), “società per fare fuori gli uomini”, manifesto che tutt’oggi fa proseliti.AndreaDworkin1986

E le affermazioni di Andrea Dworkin faranno alzare le sopracciglia con sufficienza e ironica accondiscendenza a molti; ma l’idea che “odiare il femminismo significa odiare le donne”, “che la differenza tra uomini e donne è che i primi commettono violenza e le seconde la subiscono”, “che la società non sarà libera finché non morirà la mascolinità”, eccetera, non sono esternazioni estemporanee; esse sono gli assi ideologici su cui si trasporta di generazione in generazione il femminismo.

Ideologhe che grazie agli “spazi sicuri” (“safe spaces”) quali gli Studi di Genere (Gender Studies), garantiti dallo status di vittima, continuano a fare nuovi proseliti della misandria.Julie-BIndel-01a

Così Julie Bindel, femminista radicale e lesbica, colonnista del giornale inglese The Guardian (testata ricca di spazi riservati al femminismo radicale), ed opinionista della BBC (testata giornalistica largamente presidiata dal femminismo britannico) si esprimeva il 29 Agosto 2015 (link1, link2), in preparazione del Collettivo Femminista Radicale del 2015, in risposta alla domanda se “l’eterosessualità sopravviverà alla liberazione delle donne?“:

No, a meno che gli uomini non agiscano coerentemente, gli si tolga il potere e quindi inizino a comportarsi bene. Intendo dire che li vorrei mettere tutti in una specie di campo dove possono girare in moto, bicicletta o furgoni bianchi. Darei loro una scelta di veicoli da poter guidare, niente porno, senza possibilità di fare a botte (ci sarebbero guardie, ovviamente). E le donne che volessero fare visita ai loro figli maschi o i loro amanti, avrebbero la possibilità di farlo, prenderli in consegna come dei libri in una libreria, e poi portarli indietro.

Io spero che l’eterosessualità non sopravviva, in effetti. Vorrei vedere una tregua all’eterosessualità. Un’amnistia fino a quando noi non ci saremo liberate. Perché sotto il patriarcato è una merda.

E mi sono rotta di sentire donne che dicono che i loro uomini sono a posto. Quegli uomini sono stati tirati su con i privilegi del patriarcato e sono compiacenti, non stanno impedendo agli altri uomini di essere merda.

Vorrei vedere una liberazione che porti le donne ad abbandonare gli uomini dicendo loro: quando tornerete come esseri umani, allora ci potremo rivedere.

Questo il 29 Agosto 2015. Cosa dicevamo sul razzismo?

Questo è il femminismo nel 2015. Tale è sempre stato. E tale sarà sempre.