Lo confesso, la storia insegnata non mi è mai piaciuta particolarmente. Non che non mi interessasse saperne un po’ di più sul nostro passato, ma la storia mi è quasi sempre insegnata come una serie di eventi, un po’ troppo nozionistica, e alla fine la trovavo estremamente noiosa.
Il femminismo la trova ancora più noiosa visto che vuole riscriverla, di ridefinirla in termini di rapporti di genere, perché la storia se non l’hanno fatta, l’hanno sicuramente scritta i maschi. Quindi non è assodato che quanto ci è stato trasmesso sia la storia più verosimile e, soprattutto, la più ascoltabile. E d’altronde al femminismo non piace neanche l’antropologia, effettivamente un po’ “scomoda” per la teoria dell’oppressione di genere; dopo strenua “lobby” per una maggiore rappresentazione femminile sulle banconote, il Governo Britannico ha deciso di dare spazio a Jane Austen sulla banconota da 10 Sterline rubando il posto ad una figura di secondo piano nella storia della ricerca scientifica, un certo Charles Darwin.

Folclore a parte, secondo la visione dell’evoluzione della specie umana che vi vado a presentare, forse un po’ meccanicistica ma condivisa da molti scienziati, gli uomini e le donne fronteggiano la legge naturale per soddisfare dei bisogni istintivi, etero-indotti e autoindotti. Sgobbano, producono, si riproducono e se la spassano, ma alla fine soccombono alla legge naturale. Gli incontri tra diversi individui e culture rende complessivamente più resistente la specie umana a una legge naturale avversa, e ne prolunga il cammino verso un destino comunque ineluttabile.
Questo cammino ha origini antiche, ma ignote. Diciamo che tendenzialmente l’antropologia tende a collocare in 200,000 anni fa i primi passi dei nostri avi, gli homo sapiens. Da allora gli esemplari di questa specie si sono nutriti, riprodotti e uccisi tra di loro in modalità difformi e tuttavia simili, proprio come oggi, spinti da un unico stimolo fondamentale, la sopravvivenza. Il successo nel contrastare la legge naturale ha permesso alla specie umana, con una buona dose di fortuna, di colonizzare il pianeta con circa sette miliardi di abitanti.
Anche nell’epoca d’Internet in cui il contatto virtuale è estremamente facilitato, una persona media può realisticamente dire di aver conosciuto poche migliaia di persone, in ordini di grandezza, un milionesimo dei suoi simili. Un po’ come se ciascuno di noi pensasse di conoscere il proprio aspetto all’osservazione di un capello del proprio corpo. In questo quadro, appare difficile ritenere che essere umani di un certo specifico genere si siano mai riuniti tutti insieme, per maturare una coscienza collettiva e definire norme e comportamenti comuni.
E’ quindi verosimile pensare che, se gli uomini si sono comportati con modalità conformi, in diverse parti del pianeta ed in diverse epoche, la causa deve ricondursi a qualcosa di grande e di immanente. Lo stesso dicasi, ovviamente, per le donne. Io ritengo che questa cosa grande e immanente possa essere la natura. Ci sono diverse correnti di pensiero, e qualcuno, in Europa e soprattutto nel medioevo, ha pensato fosse la lotta contro il diavolo. Sebbene la nostra cultura occidentale molto imperniata sulla religione, e in particolare quella Italiana su una specifica religione, tenda a ricondurre le nostre origini alla mano divina, esistono approcci laici e scientifici che danno una lettura degli eventi meno opinabile. Non ho nulla da obiettare alla visione di Eva creata da una costola d’Adamo e la tentazione della mela, ma inevitabilmente il mio pensiero corre alla costola estratta, alla conseguente emorragia toracica, quindi la setticemia e l’inevitabile morte di Adamo, con la povera Eva alle prese con le inutili tentazioni del serpente (il cui significato Freudiano è abbastanza noto).
Più recentemente il femminismo ha individuato, almeno per gli uomini, la ragione comune del loro comportamento: il genere maschile ha sempre agito nella storia per acquisire potere e opprimere il genere femminile.
La teoria è affascinante ma personalmente non ho ancora ben capito se il potere conquistato è utilizzato per opprimere il genere femminile o se, per avere il potere, il genere maschile deve opprimere il genere femminile. Sono sfumature, ma sfumature interessanti, perché nel primo caso l’uomo è l’orco e la donna la vittima, nel secondo, invece, caso uomini e donne sono semplicemente nemici. Vabbè, dettagli. E’ comunque un interessante punto di vista, perché presuppone che il femminismo conosca la storia personale di ciascun individuo e in tutte le epoche, potendo quindi arrivare alla conclusione che l’individuo maschile è stato sempre oppressore dell’individuo femminile. E questo è un grande messaggio di modestia. Rimane il mistero di quando gli uomini si siano riuniti tutti insieme per prendere questa decisione di conquistare il potere ed opprimere le donne. In una piazza? In quale lingua hanno redatto il verbale di riunione? Hanno votato a maggioranza o all’unanimità? Questi sono altri dettagli da definire.
Ma proviamo per un attimo a ipotizzare, per assurdo, una diversa interpretazione dei fatti.
Immaginiamo di essere dei cavernicoli, qualche decina di migliaia di anni fa; non sappiamo quanto fosse solida la struttura sociale, ma ragionevolmente dobbiamo pensare che non fosse normata da leggi. Le strutture familiari, se esistenti, non necessariamente erano monogame. Probabilmente maschi e femmine si cercavano sostanzialmente per accoppiarsi; in una natura ostile sicuramente la forza e resistenza fisica rappresentava un elemento di successo e di conseguenza il maschio ha ragionevolmente giocato un ruolo preminente nel procacciare cibo per il nucleo sociale; parimenti in assenza di contraccettivi, la femmina in frequenti gravidanze si esponeva a lunghi periodi di inefficienza produttiva.
Non possiamo pensare che il maschio avesse una coscienza di conservazione della propria specie e neanche degli obblighi formali di benevolenza verso i simili. Se una propensione verso nuclei sociali misti si è realizzata è in un’ottica Darwiniana. In altri termini se il maschio egoisticamente avesse ignorato la femmina nei momenti di debolezza, probabilmente le femmine sarebbero state “selezionate” dalla natura e di conseguenza la specie si sarebbe estinta. Ciò significa che, verosimilmente, la specie si è espansa perché si è evoluta, nel senso che, nell’ipotesi di razze umane variegate, quelle in cui l’istinto di protezione del maschio verso la femmina si è sviluppato maggiormente ha permesso la sopravvivenza di più femmine, di conseguenza di più pargoli, di conseguenza di crescita di nuclei sociali più grandi in grado di prevalere su altre forme animali ed altre comunità umane meno sociali.
In altri termini il nostro genere è “umano” perché sociale, non il viceversa. Da qui si sono originati anche degli archetipi di protezione verso il genere femminile, non per bontà ed elettività intellettuale, ma semplicemente perché il maschio ha imparato ad avere un interesse di protezione verso un altro membro della collettività che sebbene più debole aveva un potere assoluto, quello di generare e quindi incrementare il nucleo sociale.
Facciamo un salto di qualche migliaio di anni e catapultiamoci nell’antico Egitto. Perché l’Egitto? Perché avere un’idea di tale società è ancora più semplice, ed io ne ho una visiva, per quanto approssimata. Quattro anni fa mi sposavo e passavo la mia luna di miele in una splendida crociera sul Nilo. Non vi nego che da buon occidentale mi sono recato in questa straordinaria terra con i consueti pregiudizi, in particolare sulla condizione della donna, di chi si reca in un Paese prevalentemente musulmano, a forte matrice culturale Islamica. E tali pregiudizi ovviamente sono stati confermati, almeno in parte. Era impossibile non notare l’assenza di donne nella vita sociale, a parte il mercato, e non rimanere perplessi nel notare quelle poche donne visibili, coperte quasi integralmente e, nella nostra visione occidentale, mortificate e umiliate. Impossibile non pensare all’ingiustizia di costringere le donne all’interno delle mura domestiche. Ma dopo un po’ ho iniziato a notare qualche altra cosa, in particolare addentrandomi nelle zone rurali. Le condizioni di lavoro. Quando ho visto gli agricoltori, magri e consumati dal sole, utilizzare spesso il loro corpo in luogo degli animali, per trascinare pesanti aratri al fine di coltivare una terra arsa dal sole, ho realizzato: “quale donna potrebbe fare questo lavoro, e come potrebbe farlo senza compromettere i doveri sociali di riproduzione e custodia della prole?” Pensare che quel tipo di società sia da considerare una società in cui l’uomo ha il potere ed esercita un’oppressione verso la donna, non è solo stupido ma semplicemente disumano.
L’antico Egitto doveva essere estremamente simile, semplicemente perché le condizioni naturali sono rimaste sostanzialmente immutate. La presenza di un Faraone e una Faraona non faceva altro che individuare diverse classi sociali in cui se oppressione c’era era dall’alto verso il basso, dal ricco verso il povero. Un po’ come oggi, quest’aspetto non è sostanzialmente cambiato.
Facciamo un salto di qualche migliaio di anni e arriviamo nel Medio Evo. Gli antichi Greci hanno già inventato la filosofia e le scienze, e gli antichi Romani hanno inventato l’Ingegneria, il Diritto, la strategia militare e le tasse. La società in Europa è composta di piccoli e medi regni, residuo dei grandi imperi. L’introduzione del diritto di proprietà ha articolato le classi sociali, ma sostanzialmente quella che osserviamo è una società con pochissimi aristocratici, il clero e un popolo intento a una vita rurale che si è evoluta con l’utilizzo dell‘ingegneria e di tecnologie agricole. La classe media, ovviamente, ancora non esiste. Sebbene la medicina si sia evoluta, l’aspettativa di media stimata è di circa 40 anni, e l’età riproduttiva inizia intorno ai 15 anni. Il contributo lavorativo delle donne è minoritario ma è incrementato grazie all’utilizzo di tecniche e strumenti agrari e per via dello sviluppo di settori produttivi terziari (in particolare il tessile ed il commercio). La popolazione è quasi integralmente analfabeta (a parte il clero e la nobiltà) e ovviamente non esiste diritto di voto, per nessuno. In sostanza la situazione all’interno del dominio domestico non è cambiata di molto, e tantomeno la relazione tra il potere (i ricchi) e i poveri. L’unica differenza è che si è passati, non sempre, dal diritto divino a quello privato e nobiliare.
Dopo qualche secolo, piombiamo nella storia moderna con la costituzione di stati nazionali, una società che vive il rinascimento e l’umanesimo, e la graduale diffusione dell’etica e del diritto anche alle classi sociali più basse. Si costituiscono istituzioni sociali nazionali e l’individuo consegue uno status, quello di cittadino, in Stati che sono quasi sempre monarchie assolute. L’economia è sostanzialmente ancora rurale, ma l’evoluzione del terziario (in particolare scambi commerciali con le Indie e l’America) ha favorito lo sviluppo della borghesia. Iniziano a nascere le scuole pubbliche soprattutto clericali e più tardi laiche (‘700); il tasso d’alfabetizzazione di base maschile inizia a salire (sotto il 30% nelle comunità più evolute) quello femminile rimane molto più basso. Il diritto di voto ovviamente non esiste.
Appena qualche secolo e si entra quindi in epoca industriale nel XIX secolo; l’invenzione delle macchine a combustione dà un primo impulso radicale a una società contemporanea basata sull’energia. Le fonti energetiche, in particolare il petrolio, permettono di emancipare non solo gli uomini, ma anche gli animali (che da macchine di lavoro divengono sostanzialmente cibo che cammina) dai lavori fisici. La capacità produttiva della società esplode, e con essa la realizzazione della classe operaia, automi organici che coadiuvano le macchine nel loro compito produttivo, con piccoli compiti ripetitivi e non faticosi; questi automi sono soprattutto uomini e sempre più donne. Le scuole divengono pubbliche e laiche (fino al XVIII secolo l’insegnamento era esclusivamente religioso) per uomini e per donne; le riforme scolastiche iniziano in Francia, avanguardia dell’illuminismo e della rivoluzione industriale, per poi diffondersi nel resto d’Europa proporzionalmente alla diffusione dell’industria.La sovra-capacità produttiva (energia) genera surplus, di cui una buona quota va al detentore del diritto di proprietà (il padrone) e una parte a una nuova classe, quella dei colletti bianchi il cui scopo è quello di controllare gli automi umani (tute blu). Nasce la classe media.
Le monarchie assolute divengono monarchie costituzionali e repubbliche, lo status di cittadino sempre più definito e le istituzioni sempre più laiche. Con ciò arriva il diritto di voto, diciamo tra il 1800 e il 1850, solitamente ristretto ai soli abbienti per poi essere esteso a tutti gli uomini e poi alle donne qualche decennio dopo. In realtà le dinamiche sono diverse da Paese e Paese, ma in un’ottica di compressione della storia ha senso fare queste approssimazioni.
Rivolgendo lo sguardo indietro ai nostri avi, da 200.000 anni fa a oggi, possiamo dire con ragionevole certezza che il lavoro è stato fondamentalmente manuale, e prevalentemente rurale, per circa 199,800 anni; l’educazione scolastica universale un’invenzione degli ultimi 300 anni, precedentemente riservata ai ceti ricchi e nobili ed estesa successivamente agli altri nella misura in cui fosse strumento utile a creare forza lavoro; il diritto di voto un invenzione recentissima, degli ultimi 200 anni, diffusa in funzione delle capacità produttive della popolazione, inizialmente alla porzione maschile abbiente quindi a tutta la popolazione maschile (in cambio del prescritto militare) e successivamente con un ritardo di circa 20-30 anni alle donne.
Rapportando la storia, conosciuta, della nostra specie all’anno solare è come se la specie umana nel suo complesso, dal 1 di Gennaio fino al 31 Dicembre alle ore 11,30 si sia comportata come una società rurale, non democratica e basata su modello sociale con un uomo che prevalentemente produce, con lavori manuali, quanto necessario a sé e alla famiglia e una donna che prevalentemente procrea e alleva, fino all’inizio dell’epoca industriale (le prime scienze applicate compaiono il 24 di Dicembre); il diritto di voto agli abbienti arriva alle 11,31 del 31 Dicembre, verso le ore 22 si stabiliscono le prime democrazie ed il diritto di voto viene esteso a tutti gli uomini; alle 22,30 il voto viene esteso alle donne.
Ora mi sembra evidente che gli uomini, dopo essersi riuniti nella famosa piazza e deciso per la sottomissione della donna, non devono essersi capiti bene, perché per 364 giorni non hanno fatto altro che lavorare, uccidersi, sopravvivere e mantenere delle famiglie in cui continuavano a permanere degli odiosi parassiti di sesso femminile. La notte del 31 Dicembre, forse complici i brindisi di San Silvestro, hanno dato luogo a degli ordinamenti in cui non solo i parassiti assurgono a dignità di essere umano, ma addirittura assumono una serie di diritti esclusivi.
La società occidentale di oggi, intendendo gli ultimi 50 anni, è una società in cui la disponibilità di energia a basso costo ha creato un mercato sempre più grande per la classe media, i colletti bianchi, e sempre più piccola per la classe delle tute blu, perché l’automazione spinta e la sovra-produzione globale ha reso il lavoro manuale una commodity. In questo senso si sono aperte maggiori possibilità d’impiego potenziale per il genere femminile, più portato, e probabilmente più dotato, per l’apprendimento rispetto al genere maschile. Possibilità d’impiego che per essere socialmente, umanamente, sostenibili devono essere assoggettate alle regole di mercato, o meglio, della legge di natura che i maschi hanno tradizionalmente conosciuto più profondamente e la cui esperienza hanno tramandato di padre in figlio, delineando la figura stereotipata, ed in via di demolizione, del padre di famiglia.
Circa 60 anni fa un notissima attrice, icona del sogno maschile della ragazza pin-up, coniava una frase emblematica “diamonds are a woman best friend”, o forse qualcuno coniava la frase per suo conto. Si trattava di Marylin Monroe, la cui avvenenza ha suggestionato le fantasie erotiche di molti uomini degli ultimi decenni. I diamanti sono i migliori amici di una donna, una visione un po’ sciovinista ovviamente del ruolo femminile, ma soprattutto una frase sbagliata, sbagliatissima. “Oil is a woman best friend”, il petrolio è il miglior amico di una donna.
Il petrolio è la vera variabile che ha cambiato i costumi ed il livello di produttività globale, con una accelerazione che non era mai stata riscontrata nella storia. Esso ha di fatto reso il mondo occidentale obeso e pigro, e decenni di “benessere” hanno intorpidito le coscienze fino a far perdere tale consapevolezza. La classe media è cresciuta e quella “proletaria” si è compressa, parallelamente al crescere dei colletti bianchi e al diminuire dei lavori manuali. Il lavoro intellettuale e assistenziale è esploso, sostenuto da una super produttività che ha reso l’individuo un consumatore piuttosto che un lavoratore.
E così mollemente adagiati su delle bolle di petrolio costituitesi in milioni di anni e sempre più sgonfie, produciamo sempre più colletti bianchi, sempre più rosa, e sempre meno tute blu, sempre più blu. Uomini con sempre meno dignità lavorativa e sociale che disimparano il valore del lavoro e della fatica, e donne che imparano mestieri inventati dagli uomini per dimenticare il valore dell’unico lavoro in cui eccellevano.
Tutto questo per alimentare una necessità lavorativa anticiclica e tutto sommato, in termini storici, momentanea.
Tornando alla figura allegorica precedente, del brindisi di fine anno, non è escluso che alla fine ci si ritrovi tutti un po’ sbronzi e soprattutto inutili. Non solo mutuamente inutili, con uomini che guardano alle donne come ventri vuoti e le donne agli uomini come teste vuote e braccia flaccide; ma soprattutto introspettivamente inutili, con uomini che non ravvisano segni di dignità, e donne perennemente insoddisfatte.
Gran parte degli sforzi del femminismo degli ultimi decenni sono stati convogliati verso la dissoluzione della famiglia patriarcale. E per demolire tale figura parentale maschile, esso ha bisogno di riscrivere la storia, in termini di un percorso di oppressione; per supportare normative e programmi culturali discriminatori contro il sesso maschile, il femminismo deve abbassare le barriere razionali femminili alzando gli stimoli emozionali, cercando di mantenere un livello di tensione alto basato sulla costruzione ideologica di un’epopea di soprusi del maschio sulla femmina e lo spettro incombente della violenza; in buona sostanza in ciò consiste riscrivere la storia in ottica di genere.
Tratto ed adattato dal libro
“Viaggio verso Utopia: l’impatto con il femminismo e il naufragio nella misandria”