Un articolo sui generis che scaturisce dalla personale sensazione che il fronte del dissenso e della resistenza stia perdendo coerenza nel tentativo di allargarsi. E’ un articolo d’opinione, quindi intrinsecamente opinabile. Non pretendo di convincervi di nulla, solo di sollecitare una riflessione. L’articolo non è legato alle questioni elettorali in corso, ma è piuttosto legato alla mia lettura del cambio di comunicazione di vari opinion leaders e influencers, e a titolo aneddotico ne fornirò un esempio per facilitare la comprensione del mio pensiero.

Il punto della questione è: é giusto generalizzare?

E’ giusto affermare che la magistratura si è dimostrata un covo di servi, soggiacendo allo scempio giuridico compiuto dallo Stato per oltre 2 anni?

E’ giusto riferirsi alla categoria dei medici come a degli adepti di Mengele per essersi prestati alla sperimentazione eugenetica su cavie soggette ad estorsione?

E’ giusto riferirsi alla categoria dei docenti (a cui io teoricamente appartengo) come dei kapo che agiscono da aguzzini in campi di indottrinamento?

E la lista potrebbe continuare. La risposta a queste domande, per molti, è un sonoro “no” in virtù del fatto che “non è giusto fare di tutta l’erba un fascio” e che esistono eccezioni. Appunto, eccezioni.

Aneddoticamente, qualche settimana fa, Matteo Gracis era ospite della trasmissione 100 Giorni da Leone, e si è trovato coinvolto in questo dilemma. Premetto che stimo Gracis, e cito il suo caso solo a titolo aneddotico. Durante la conversazione, il conduttore ha sollevato a Gracis il tema del basso, quasi nullo, contributo dei giovani nella resistenza alla dittatura in atto. Gracis sosteneva che non fosse giusto “fare di tutta l’erba un fascio” e che bisogna trovare lo strumento adatto alla comunicazione, e che da quando aveva iniziato ad utilizzare Instagram aveva ricevuto una buona risposta (non ben precisata).

Questa filosofia è completamente inadeguata perché invece di essere motivata dalla volontà di prendere atto della realtà dei fatti sembra essere motivata dalla volontà di compiacere i giovani e non urtare i loro sentimenti. Che i giovani (20-30 anni) siano completamente mancati all’appello è un fatto incontestabile, e per oltre due anni. Chi come me ha fatto parte del fronte del dissenso dalla prima ora e frequentato le piazze sin da Maggio 2020, è testimone oculare di uno spettacolo sconfortante, la completa assenza di partecipazione giovanile.

Ci sono state eccezioni? Sì, ovviamente, quali il ragazzo di Fano sottoposto a TSO, reo di disobbedienza civile. Un gesto straordinario, nella totale mediocrità, che non merita di essere confuso col grigiore circostante.

La generalizzazione ovviamente ammette eccezioni alla regola. Ma “una rondine non fa primavera“.

Che i giovani ed in particolare i millenials siano generalmente apatici e passivi non è solo evidente ma eclatante. Che poi ciò sia in gran parte colpa del conformismo delle generazioni precedenti è vero ma ciò non cambia la realtà dei fatti con cui fare i conti.

Essere accomodanti non aiuta. E’ evidente che esiste una frattura culturale che non può essere aggirata con elementi strumentali. E, a tal proposito, cercare di inseguirli nella strada dell’instant gratification con Instagram, stendendo ai loro piedi l’ennesimo tappeto rosso, serve solo a dargli una consolatoria pacca sulle spalle, quando invece necessitano disperatamente di essere ribaltatati dal loro comodo sofà. Pensare che la questione sia di carattere strumentale, e che l‘assenza giovanile nel fronte del dissenso sia giustificata da impropria comunicazione, è pura illusione. Parafrasando una frase celebre, quando il conformismo prende l’ascensore il coraggio prende le scale. E questo coraggio ciascuno lo deve trovare internamente. Eppure c’è chi pretende di scendere le scale per andare a prendere le pecorelle “smarrite” una ad una e portarle su in spalla, per poi trovarsi sfinito, e realizzare che buona parte delle pecorelle, nel mentre, hanno di nuovo preso l’ascensore. Ed il fronte del dissenso ha bisogno di leoni in buona forma, anche perché molte di quelle che sembrano pecorelle sono invece iene pronte a banchettare sulle carcasse dei caduti.

La questione è morale, e può essere affrontata solo con l’esempio dato da adulti che in tempi straordinari abbandonano la retorica del compiacimento e dell’empatia e dimostrano la capacità di essere severi ed irremovibili.

Ma la questione della comunicazione, pur centrale, non è il focus di questo articolo. Torniamo alla questione.

Cosa c’è di male ad imputare ad una generazione di apatici ciò che è generalmente vero? Avete paura che qualcuno si offenda? Piuttosto, pensate alla verità come un sano schiaffone, ad un bagno d’umiltà da lungo tempo atteso dalle nuove generazioni. Pensate, piuttosto, a quelle eccezioni alla regola, come quel ragazzo di Fano trattato da pazzo, che al vedere normalizzata ed accettata la vile apatia dei coetanei si sentiranno tradite e beffate.

Cosa c’è di male a generalizzare la codardia dei docenti? Io appartengo a tale categoria e non mi sento offeso perché so che ciò è vero e sono con la coscienza a posto, in una diversità che io ed altre eccezioni paghiamo caramente.

Cosa c’è di male a generalizzare la viltà della categoria dei magistrati, comodamente adagiati sulle loro costose poltrone mentre ai cittadini con la schiena diritta viene persino negato l’accesso in tribunale per tentare di far valere le proprie ragioni. Temete che si offendano oppure temete ripercussioni perché magari le eccezioni sono particolarmente rare?

Cosa c’è di male a generalizzare l’attitudine dei medici a comportarsi come traditori e sicari di Stato? Le poche eccezioni che si sono ricordate del giuramento d’Ippocrate ed hanno pagato con l’allontanamento e la radiazione non vi piacciono più?

Generalizzare non è solamente corretto perché fotografa quello che è generalmente vero, ma è anche moralmente giusto. E l’integrità morale è tutto quando si fronteggia il male.

Ma non è solo moralmente giusto; è soprattutto strategicamente necessario.

Il risveglio dei pochi non consiste tanto nell’aver realizzato il volto da aguzzino dello Stato manovrato da burattinai senza scrupoli, ma soprattutto nell’aver ritrovato la propria individualità, nell’aver riscoperto il piacere di rimanere fuori dal confortevole consenso del gruppo.

Se pochi matti si sono ritrovati in poche decine, poi in piazze con centinaia di persone, poi in manifestazioni di decine di migliaia di persone, è perché quei matti se ne sono fregati dell’opinione del gruppo e del consenso generalmente accettato dalla massa, generalmente ignorante e generalmente codarda.

Questa avanguardia di tutto ha bisogno tranne che di essere ributtata nella logica del consenso, della mediocrità, di essere confusa con chi ha bisogno di un bagno di umiltà che parte col riconoscere di far parte di una categoria umana moralmente ed intellettualmente allo sbando.

Generalizzare è un dovere.

Un caro saluto.

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