Nell’articolo dell’8 Giugno ho dato una stima statistica della mortalità e letalità reale del COVID. Un articolo un po’ tecnico e poco digeribile, ma in sostanza la conclusione finale è che la letalità di questo virus è sicuramente in una finestra tra lo 0,01% e lo 0,2%, dove l’estremo superiore è sicuramente soggetto a sovrastima.
Ricordiamo che la letalità rappresenta la probabilità di morire una volta contratta l’infezione e si calcola come LETALITA’ = DECESSI/INFETTI. La mortalità invece rappresenta la probabilità di morire una volta che un’infezione impatti una popolazione e si calcola come MORTALITA’ = DECESSI/POPOLAZIONE.
Oggi vi presento una seconda valutazione effettuata con un’approccio completamente differente da quello del precedente articolo, che porta a valutazioni coerenti, con una letalità stimata nell’ordine dello 0,06%. Ricordo che sono valutazioni statistiche e quello che importa non è tanto il numero quanto l’ordine di grandezza. Le valutazioni che seguono sono basati sui dati della Protezione Civile dal 23 Maggio al 25 Giugno.
VALUTAZIONI SULLA LETALITA’
Secondo i dati della Protezione Civile nel periodo considerato c’è stato stabilmente almeno l’1% della popolazione positiva, cioè circa 60,000 Italiani, come descritto dalla figura sotto, e in Lombardia oltre il 3% (circa 30,000 lombardi).
L’epidemia si è quasi estinta ma la diffusione, sebbene minima, del virus c’è stata nell’ultimo mese, a meno che non si dica che i tamponi non servono. Se ciò è vero dovremmo avere aver avuto, pro quota, nuovi malati e morti in ragione della letalità di questo virus.
Il metodo utilizzato, quindi, è quello di confrontare l’incremento dei morti con l’incremento dei positivi registrato. Questo approccio risente di alcune limitazioni ma comunque parte dal presupposto ragionevole che il rapporto tra incremento (in percentuale sulla popolazione) di morti e incremento di positivi (in percentuale sulla popolazione) dovrebbe restituirci una stima della letalità di questo virus, almeno in termini di ordini di grandezza.
Qua sotto l’andamento della letalità così calcolata per Lombardia, Lazio e Italia.
E’ vero che i morti di un dato giorno probabilmente sono dovuti a ricoveri antecedenti di 1-3 settimane, ma la figura da uno spaccato di oltre un mese.
Come si evince, il tasso di letalità è in decrescita; il dato più significativo da un punto di vista statistico è quello nazionale. Il dato è stabilmente inferiore allo 0,1% e ha violato la quota 0,04% (il dato del Lazio è un più “ballerino” per via della minore rilevanza statistica dei numeri implicati).
Questa stima della letalità è perfettamente in linea con quanto si registra in altri Paesi (non Euro-Atlantici) e non nella coda finale dell’epidemia, ma sin dall’inizio.
Per inciso, la Corea Del Sud e il Giappone, paesi con densità di popolazione superiore all’Italia, ben più vicini e collegati con la Cina, e che hanno ricevuto l’omaggio COVID prima dell’Italia, pur non istituendo il lockdown dittatoriale italiano, hanno avuto mortalità rispettivamente 60 volte e 10 volte inferiori a quella Italiana. Se poi pensate che il COVID si sia comportato nello stesso modo a tutte le latitudini e longitudini, site male informati; leggetevi il precedente articolo.
A questo punto annotiamo che il primo lockdown (quello leggero) è stato emanato il 9 Marzo con 9172 positivi e 463 deceduti (con una letalità apparente di oltre il 5%); il secondo lockdown (quello dittatoriale) è stato emanato il 23 Marzo con 64000 positivi e 6077 deceduti (con una letalità apparente del 9,5%).
Ovviamente morti CON COVID, non DI COVID, ca va sans dire…
Sappiamo benissimo che il dato di 64000 positivi (del 23 Marzo) implicava molti più infetti non diagnosticati, ed infatti questo è il punto. Noi oggi, nonostante il virus circoli, registriamo una letalità dell’ordine dello 0,06% (ma tendenzialmente inferiore). Se assumiamo che la letalità di questo virus non sia cambiata in tre mesi possiamo assumere che la letalità reale (0,06%) sia oltre 150 volte inferiore a quella apparente registrata il 23 Marzo.
Poiché LETALITA’ REALE = LETALITA’ APPARENTE x POSITIVI NOTI/INFETTI TOTALI e quindi INFETTI TOTALI = LETALITA’ APPARENTE/LETALITA’ REALE X POSITIVI NOTI, potremmo stimare al 23 Marzo gli infetti attorno ai 9,6 milioni (9.5/0.06 x 64000); numero che riecheggia una valutazione circolata un mesetto fa.
Con lo stesso ragionamento potremmo dire che al 1 Aprile, data in cui si è registrata l’inversione di tendenza della curva epidemica, quando registravamo 110.000 infetti e una letalità apparente (sempre CON COVID) del 12%, il numero di infetti fosse attorno ai 22 milioni, oltre un Italiano su 3.
Sono valutazioni “di massima” ma non necessariamente per eccesso. Un professore e medico (Bacco) già tempo addietro stimava tra il 38% e il 50% il tasso di diffusione del virus in alcune province Lombarde su base di test sierologici. E quindi non mi stupisce affatto che recenti test sierologici commissionati dall’ISS abbiano stimato in Lombardia un tasso di diffusione superiore al 20%. Anzi la trovo una stima per difetto. E tardiva, drammaticamente tardiva.
In sostanza vi hanno tenuto ai domiciliari per non contrarre un virus che verosimilmente un terzo della popolazione aveva già contratto e che aveva (nel peggiore dei casi) una letalità verosimilmente attorno allo 0,1%, al netto dell’intubazione dei mattatoi covid.
Il professor Zangrillo ha parzialmente ragione, quando dice che non c’è nessuna emergenza da un punto di vista clinico.
In realtà, l’emergenza clinica nei termini in cui è stata presentata, non c’è mai stata.
L’emergenza democratica sì, e peggiorerà.
Un caro saluto.