Nel 1945 la 2° Guerra Mondiale chiudeva il bilancio con circa 71 milioni di morti, circa il 3% della popolazione mondiale (2,5 miliardi).  48 milioni di civili, e tra essi più milioni di ebrei, destinatari della “soluzione finale“ concepita dal Nazionalsocialismo Tedesco, l’Olocausto o Shoah. Ma non l’unico sterminio; dieci anni prima l’Holodomor celebrava lo sterminio di circa 7 milioni di Ucraini per mano del Comunismo Sovietico. Stermini di massa frutto di ideologie asservite ad interessi materiali, in particolare risorse energetiche, ieri come oggi.

A sancire la fine della guerra, ad Occidente, la “presa” di Berlino da parte degli eserciti Statunitensi e Sovietici; a Oriente, due bombe nucleari sganciate dagli Statunitensi sulle popolazioni di Hiroshima e Nagasaki; 200.000 civili vaporizzati nell’arco di 3 giorni, un monito alla nascente superpotenza Sovietica.

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Finiva così la Seconda Guerra Mondiale, o meglio, finiva la stagione del ‘900 di guerre di conquista “tradizionale”. Da un lato gli sconfitti, l’asse Germania-Italia-Giappone; dall’altro i vincitori, USA, Gran Bretagna, Francia, Cina, URSS e altri stati satelliti.

Nasceva l’ONU, oggi “letta” curiosamente come organizzazione umanitaria ma di fatto costruita per mediare conflitti economici e militari. Con essa il Consiglio di Sicurezza, organo che stabilisce la “legittimità” delle guerre; membri permanenti, ovviamente, le nazioni uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale. A loro il diritto di veto, di vita o di morte. L’ONU redigeva la Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo e coniava la definizione di “genocidio”, sotto la regia morale di chi aveva sterminato milioni di Ucraini e “nuclearizzato” due città Giapponesi. La sede, naturalmente, a New York.

La Germania veniva spaccata in due, così Berlino. La geopolitica vedeva nascere i blocchi economici e militari del patto Atlantico e del patto di Varsavia.

Iniziava la guerra fredda, dopo millenni di guerre calde, e lo spettro della Guerra Termonucleare Totale pronta a riscaldarci.  Mentre si scavavano bunker antiatomici e i sottomarini presidiavano i fondali con cariche nucleari, le due superpotenze costruivano le nuove politiche egemoniche. L’impero sovietico con strumenti vecchio stampo, l’ideologia rivoluzionaria comunista e “piccole” invasioni perimetrali; l’impero statunitense con la piattaforma culturale basata sul libero scambio, sul consumismo e con rivoluzioni politiche pilotate, democrazie o dittature, a seconda dei casi. L’URSS annetteva l’Ungheria e ammiccava ad Est (Corea e Afghanistan). Gli USA inventavano il libero scambio internazionale (accordi “GATT” e OECD) mentre addomesticavano il Sud e Centro America; alterni successi, invece, in Medio Oriente. L’URSS metteva la propria bandierina in terra straniera, a Cuba; gli USA replicavano in Corea del Sud e, con meno fortuna, in Vietnam.

Cina ed India, pesci troppo grandi, guardare ma non toccare. Meglio lasciare le cose come stavano, la Cina sotto la sfera d’influenza culturale comunista, ma soggetto autonomo, e l’India frastagliato mondo di culture, ma rotta amica delle transazioni commerciali anglosassoni.

Alla vecchia Europa non rimaneva che ristrutturare le macerie coloniali del proprio passato, e mettere le basi della Comunità Europea.

Nel 1989 crollava il muro di Berlino, crollava l’URSS e rimaneva la Russia. La Comunità Europea accelerava il passo nel tentativo di aggregare le colonie dell’Est, avviando il proprio progetto egemonico basato sulla lezione statunitense; libero scambio e libero debito; la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale a far da garanti finanziari, e la macchina da propaganda umanitaria dell’ONU a far da garante morale.

Iniziavano le guerre di pace, sotto l’egida dell’ONU, invariabilmente in Paesi ad alta concentrazione petrolifera. Nel 1995 Europa e USA facevano evolvere gli accordi commerciali internazionali del “GATT” nei ben più vincolanti ed estesi accordi del “WTO”, allargando la piattaforma di libero scambio commerciale e di tutela del diritto di proprietà. India e Cina divenivano piattaforme di delocalizzazione della manifattura.

Così all’alba del XXI secolo, 68 anni dopo la fine della 2° Guerra Mondiale, l’economia del consumo Euro-Statunitense, ha esternalizzato la produzione dei beni materiali oltre frontiera, nella rincorsa spasmodica alla classe media senza confini, e si ritrova ostaggio del mostro che ha creato, la finanza creativa. Gli Stati Uniti si ritrovano costretti a puntare tutto sull’ultimo bluff, il “quantitative easing”, cioè pompare triliardi di dollari di debito pubblico. Una scommessa la cui unica garanzia è quell’enorme macchina da guerra che pesa per il 16% della spesa pubblica americana e che consuma tanto petrolio quanto l’intera India.

Dal lato orientale, l’enorme piattaforma manifatturiera di Cina e India, cresciute come manovalanze ed elevatesi gradualmente a dignitarie dell’economia mondiale. In particolare la Cina, unica vera potenza mondiale con debito sotto controllo e prima potenza per brevetti industriali.

Al centro, il mostro Europeo, incapace, finora, di recitare il ruolo di potenza militare se non a rimorchio del fratellone Americano, e che oscilla fra tentativi di auto-fagocitamento e i “sogni” degli Stati Uniti d’Europa. Incapace di esprimere la strategia produttiva d’Oriente e non attrezzata per recitare l’arrogante e spavalda politica espansionistica Statunitense, si cimenta nell’eutanasia dell’austerity. Si rispolverano le vecchie ricette del “ventennio”. Cambiano i metodi, ma sostanzialmente non cambiano i contenuti. La nuova campagna d’Africa non si fa più con gli eserciti, ma esportando democrazia, diritti “umani” che frammentano le società locali mantenendole in perenne conflitto tribale; una democrazia che frutta risorse naturali e nuovi proletariati ben disposti ad assolvere ai compiti di manifattura che l’Oriente non è più disposto a coprire al basso costo cui eravamo abituati. Non si colonizza; la parola d’ordine è l’osmosi culturale, l’integrazione. Quindi frontiere aperte per mettere in concorrenza il pigro Europeo, in particolare del Sud Europa, con il motivatissimo nord-africano. Una gara a chi lavora di più per meno. Europa a 27? Ma forse a 30, a 40. Gli Stati Uniti d’Europa non hanno confini, almeno finché c’è gas e petrolio da pompare e nuovi schiavi da formare. Europa oggi, Eurafrica domani. E’ la globalizzazione bellezza.

E la Russia sta a guardare, reticente al fanatismo Eurointegralista, forte del suo gas, del suo “veto” nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e della spalla tattica Cinese. A Est, l’armata rossa che consolida i propri vantaggi strategici: competitività senza paragoni, e risorse naturali, in particolare carbone e gas. Ma anche eserciti dalla divisa sempre più tecnologica, perché il futuro è nei cieli, in particolare nello spazio. Russia e Cina, un’armata divisa da due lingue e da due alfabeti diversi, ma con due veti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU a fattor comune, due carte da giocare.

A ovest, l’armata stelle e strisce che sperimenta nuove forme di guerra tattica, fatta di propaganda mediatica, di finanza tossica per liberarsi dai creditori Cinesi, e fatta di governo del “barile” per contenere il prezzo del gas e la relativa espansione Russa. Il tutto sotto l’attento controllo dell’immensa forza militare e dei sistemi di sorveglianza informatica e satellitare. Un’armata avanzatissima che ha nel proprio sistema sociale in disgregazione, il vero nemico, quello interno. Armata imbattibile ma un solo veto internazionale all’ONU; per fortuna c’è l’amico Europeo.

Al centro l’armata blu, a 12 stelle, e 24 lingue. Un gigante dai piedi d’argilla, senza competitività, poca innovazione e senza risorse naturali. Si punta sulla sostenibilità energetica sì, ma anche un po’ di gas non guasta, Africano s’intende. Un’armata con le armi spuntate, ma che affina gli artigli con gli F35 e con il proprio progetto spaziale. Spalla a spalla con il fratellone Americano, oggi Abele, domani Caino? Un’armata con alcuni ammutinamenti, il cui vero problema è il dissenso interno, da arginare con trattati democraticamente imposti e una gendarmeria extra nazionale. Al suo interno, Gran Bretagna e Francia, due veti all’ONU, due preziose carte.

Oggi la popolazione mondiale ha raggiungo i 7 miliardi e il consumo di energia è 32 volte quello degli anni ’60; fra 30 anni la popolazione mondiale raggiungerà gli 8,5 miliardi (il 78% in Africa e Asia) e consumeremo il 60% in più di energia (il 63% del consumo globale sarà in Paesi non “allineati”).

Là fuori c’è un mondo da conquistare, un pozzo o una miniera da scavare.

Che ognuno giochi le sue carte, tu che armata scegli?

 Articolo pubblicato su “IL REGESTO”, nell’Ottobre del 2013