Tre giorni fa, la Reuters titolava che la “variante” Delta era verosimilmente infettiva tra i vaccinati, e la “variante” Lambda mostrava resistenza al “vaccino” nelle prove di laboratorio.
Del “rischio” di produzione di varianti derivate dalle vaccinazioni di massa durante un’epidemia ne parlava ad Aprile pesino Geert Vanden Bossche, immunologo della GAVI di Bill Gates; e ribadiva il messaggio Luc Montagnier. Con loro migliaia di altri immunologi ed epidemiologi.
Un rischio comunque fra virgolette, perché le varianti da un punto di vista sintomatologico non sono differenti dal ceppo originario, semplicemente perché sono quasi identiche tra loro. Il “rischio” è sostanzialmente epidemiologico, cioè portano a prolungare l’epidemia perché possono in alcuni casi scavalcare l’immunità già acquisita, ma non portano a differenti malattie.
Come aveva chiaramente spiegato Michael Yeadon (ex vice presidente di Pfizer e direttore della linea scientifica di malattie respiratorie) all’epoca della variante “brasiliana”:
la variante ha un profilo genetico per il 99,7% identico a quella del ceppo originario, quindi una differenza dello 0,3%. Nella mia esperienza un vaccino efficace su un ceppo riesce a fornire copertura verso ceppi che differiscono geneticamente fino al 20% da quello originario.
In sostanza, un vaccino efficace sul ceppo principale dovrebbe essere efficace sulle sue varianti. Ma così non sembra con il “trattamento” sperimentale.
Ma allora perché adesso i PRO-VAX sembrano denigrare le capacità miracolose del “trattamento” nei confronti delle varianti, con il rischio di invalidare la credibilità dell’efficacia del trattamento anche nei confronti del ceppo originario? Persino Fauci, candidamente, ammette che:
la carica virale della variante Delta nei vaccinati è uguale a quella dei non vaccinati
Ammissione stupefacente, apparentemente. Implicitamente uno dei maggiori fautori del “trattamento” sta affermando che il trattamento è inefficace. Cosa succede?
Se pensate che l’affermazione di Fauci possa fare saltare sulla sedia chi si è prestato a fare da cavia, vi state illudendo. Siamo nell’epoca dello scientismo in cui gli adepti credono nella mascherina e credono nel vaccino. Le parole di Fauci, alle orecchie di chi rifiuta l’idea di essere stato ingannato, suoneranno più o meno così:
Questi bastardi dei NO-VAX stanno creando varianti che rendono inutile il sacrificio che abbiamo fatto, in cui abbiamo rischiato la vita per salvare l’umanità
Fauci sa che le “cavie” che si sono sottoposte volontariamente al trattamento lo hanno fatto nella convinzione di limitare il proprio rischio di contagio ignare del fatto che gli stessi produttori dei sieri affermassero che il trattamento non poteva limitare la trasmissione.
Sta andando in onda il ballo delle varianti, in cui la variante è vista come una grande opportunità per “variare” le carte in tavola.
E’ oggi il turno della variante Delta e poi sarà il turno della Lambda e poi dell’Omega, eccetera. Le lettere dell’alfabeto greco sanno di “scienza”, niente a che vedere con la variante “brasiliana” o “sud africana” oppure “indiana”.
La variante è l’ennesima metamorfosi della paura, uno spauracchio utile, doppiamente utile, anzi, triplicemente utile. Essa ha mille forme e nessuna.
Essa prolunga la vita del nemico invisibile e con essa la “giustificazione” per ulteriori provvedimenti emergenziali. Se dai morti intubati si è passati alla penuria delle cure intensive e da queste all’affollamento dei posti letto, e da questi alla curva degli asintomatici positivi, è adesso il turno delle varianti. Ma non solo questo.
Il mito delle varianti dirotta la frustrazione dei capponi che hanno deciso di sacrificarsi per il bene della società, disillusi dalla futilità del loro gesto e messi davanti alla possibile prospettiva di un ulteriore richiamo (booster), verso i capponi che codardamente si sono sottratti al trattamento (spero che il riferimento Manzoniano non richieda spiegazioni).
Ma ancor di più, esso serve a dare nuova forma clinica al COVID e al contempo a coprire gli effetti collaterali dei “trattamenti”.
Qualcuno ricorderà che il COVID è nato come malattia caratterizzata da insufficienza respiratoria che poteva degenerare in polmonite bilaterale interstiziale. In alcuni casi si registravano alcune implicazioni cardiache con rilevanza minore rispetto al quadro clinico principale di carattere respiratorio. Da qui la designazione del relativo virus come SARS (Sindrome Acuta Respiratoria).
Da quando però è partita la pratica dei “trattamenti” genici per indurre la produzione endogena della tossina SPIKE, la sintomatologia COVID viene descritta sempre di meno come “respiratoria” e sempre più caratterizzata con nuovi tratti, in particolare con problemi all’apparato cardiovascolare e nervoso determinati dalla proteina SPIKE, tratti tipici proprio delle reazioni avverse da “trattamento”
Non mi stupirei se tra qualche mese, i problemi di risposta immunitaria avversa (ADE) e le varie sindromi a carico del sistema nervoso che molti hanno paventato in virtù del trattamento, saranno catalogate come profilo tipico delle varianti del SARS-COV-2.
Quello delle varianti è un lento minuetto in cui gradualmente si modifica la percezione dei fatti; da un lato, ogni giorno, esso crea nuovi pretesti per giustificare il prolungamento dell’emergenza; dall’altro, esso ridefinisce gradualmente la sintomatologia COVID attraverso gli effetti collaterali del “trattamento”, nel tentativo di fare accettare alle cavie che la malattia si sia radicalmente trasformata. Per arrivare all’obbiettivo di far percepire il futuro quadro sintomatico non come gli effetti di medio termini del pericoloso esperimento genetico in atto, ma come la naturale progressione alfabetica delle varianti; progressione da imputare all’irresponsabile reticenza di quelle Cassandre che vanno sotto il nome di “negazionisti” “no-vax”.
Un caro saluto.