Il 1/12/1955 una giovane statunitense di colore, Rosa Louise Parks, prendeva l’autobus, e decideva si sedersi nelle file anteriori, tra altri simili, simili ma non troppo, tra altre persone dalla carnagione più chiara. Infrangeva la legge, tecnicamente commetteva un crimine. E quando un uomo di carnagione più chiara le chiese di alzarsi e lasciargli il posto, lei si rifiutò. E forse, prima di allora, quella donna avrà violato la legge, con crimini ancora più gravi quali sedersi su panchine riservate ai “bianchi”, aggiungendo altri crimini al suo carnet. Fu arrestata, e la notte seguente presero fuoco le proteste della comunità di colore, guidata da Martin Luther King. Quel giorno segnò un evento simbolico che portò molti dei propri simili, persone di colore, non a prendere coscienza di razza disprezzata, coscienza ben sviluppata ma sotterrata sotto l’esigenza di sopravvivere in un ambiente ostile, ma soprattutto della loro possibilità di prendere una posizione di lotta aperta di fronte a leggi razziali, leggi criminali, crimini contro l’umanità. L’anno seguente la Corte Suprema dichiarò illegali le misure di segregazione.

E negli stessi tempi, le traversate dei transatlantici diretti oltre oceano ospitavano i passeggeri in diversi piani, dall’alto verso il basso, dal ponte di comando fino alla stiva, dalla prima classe fino alla terza, in sezioni divise da compartimenti stagni e sorvegliate da personale di sicurezza. Autentiche segregazioni perché le classi non si incontrassero e si generassero situazioni sconvenienti.

E cose analoghe succedevano più o meno 40 anni prima, in altre longitudini, dove altre persone trovavano posti riservati solo nei vagoni ferroviari diretti verso i campi di sterminio.


Nel 1996 anni fa ero su un treno diretto verso il centro di raccolta reclute di Pesaro, per assolvere uno dei privilegi patriarcali residui, il servizio di leva obbligatoria. Ero al termine dei miei studi universitari, studi di Ingegneria, fase conclusiva di un percorso accademico passato tra ragazzi quasi esclusivamente della borghesia romana, nonostante le mie origini proletarie. Accanto a me un ragazzo di 18 anni, Siciliano, proveniente dal comune di Gela. Un ragazzo analfabeta, un ragazzo che non sapeva scrivere il suo nome, orfano di padre, e che aveva lasciato la famiglia e i suoi compiti agricoli, per servire la patria. Un ragazzo che non avrei mai conosciuto e che per qualche giorno è stato mio “sottobrandista” termine che non spiego lasciando il piacere dell’intuizione o della ricerca. A tale ragazzo, nei pochi giorni seguenti l’incontro, ho fatto da guida, da tutore, da traduttore dalla propria lingua all’Italiano, nonché provveduto alla compilazione dei moduli anagrafici previsti dall’arruolamento. Questo fino al giorno in cui l’ho portato dal capitano di compagnia, per un semplice motivo; quel ragazzo non doveva essere lì. Perché quel ragazzo non era solo analfabeta, ma ignorava soprattutto i suoi basilari diritti, ed uno di questi diritti patriarcali era l’esenzione dal servizio di leva per i figli primogeniti orfani di padre. Quel ragazzo non l’avrei mai potuto incontrare se non per un incontro fortuito, facilitato, anzi forzato, da un obbligo normativo. Se l’avessi incrociato sul treno, in piena libertà di scelta, avrei probabilmente immediatamente inquadrato il suo abbigliamento, la pelle arsa dal sole, il corpo magro e nerboruto, i capelli ondulati e trascurati, il linguaggio in accento semi incomprensibile e con un vocabolario ristretto, e forse l’avrei anche annusato. Alla fine l’avrei probabilmente scartato, avrei cercato un altro posto. Perché in fondo siamo un po’ tutti spaventati dalla diversità, nessuno escluso, perché la diversità ci ricorda cosa siamo.

Il mezzo di trasporto pubblico è l’occasione per incontri causali, con persone che non avresti mai incontrato, e probabilmente non incontrerai mai più. In alcuni casi persone che non avresti mai voluto incontrare.

E diciamocelo, gli uomini sono proprio insopportabili!

Nel 2008 presso un’amena località del Nord Italia, Mandello del Lario (Lecchese), un uomo si siede, come di consueto, sul treno e durante il viaggio “guarda con troppa insistenza una donna”. Nessuno parola scambiata, né contatti fisici. La “vittima” però prova disagio. In effetti, la povera donna ha tutta la mia solidarietà; alcuni anni fa prendevo spesso il treno Roma-Cassino e su questo treno capitava di incrociare ogni tanto un ragazzo corporuto che attraversava il treno e guardava minacciosamente negli occhi le persone finché queste non lasciassero libero il passaggio; non parlava e ovviamente non compiva nessuna azione fisica, solo lo sguardo. Io, come pure le altre persone sane di mente, capivamo di trovarci di fronte ad una persona con gravi problemi e la lasciavamo passare. Anche perché presentarsi ad un ufficiale di polizia o al capotreno e lamentarsi della violenza psico-ottica subita, ci avrebbe esposto al ridicolo ed anche ad una legittima controquerela.

Non l’ha pensata così la donna di Lecco che invece di spostarsi, sentendosi denudata dallo sguardo “scrutatore” nel corpo e nella mente, ha deciso di denunciare l’uomo alla polizia ferroviaria. Come risultato l’uomo è finito in tribunale. Riporto un estratto dell’articolo per correttezza:

Secondo l’accusa l’uomo aveva guardato con troppa insistenza la donna che era seduta davanti a lui in uno scompartimento del treno regionale Sondrio-Lecco-Milano. Il giorno prima, aveva raccontato la signora, il trentenne si era seduto vicino a lei, dopo averle fatto spostare il cappotto. Un po’ troppo vicino, secondo la donna. E il giorno dopo, ancora, l’aveva guardata a lungo durante il tragitto. Tra i due non ci sarebbe stato alcuno scambio di parole, né di complimenti né tentativi di corteggiamento. Ma la 55enne aveva comunque ritenuto inopportuno e fastidioso il comportamento dell’uomo, tanto di denunciare la cosa ad un agente della polizia ferroviaria una volta scesa dal treno. Il giorno successivo alcuni agenti avevano anche effettuato accertamenti. Vestiti in borghese avevano seguito il trentenne durante il viaggio verso Milano e non avevano visto nulla di strano. Ma la denuncia per molestie era stata ormai presentata. Il caso è approdato davanti al giudice P. S. ed è andato a sentenza.” .

Il risultato? Una controquerela? La donna condannata alle spese processuali, ai danni morali e al risarcimento delle spese delle Ferrovie dello Stato? Un “Signora ma mi faccia il piacere?” da parte del giudice? No, una condanna sì, ma per lui. Direte voi: “condannato a guardare nel vuoto per una settimana?” No, almeno nel primo grado, giacché non è noto l’esito dell’appello; il ragazzo è stato condannato ad una multa di 40€ e a 10 giorni di detenzione. Ci sono voluti tre anni di tempo, ma alla fine giustizia è fatta. A questo punto dobbiamo dunque chiederci se non sia legittimo per un uomo denunciare una donna per abiti troppo scollati onde tutelarsi da turbe sessuali.

Speriamo che al “molestatore” di Lecco non venga mai l’idea malsana di giocare a beach-volley nel centro di Roma; potrebbe incorrere nella sventurata parentesi Ferragostana di un ragazzo ventenne finito in carcere per tre settimane per essersi pulito il costume dalla sabbia dopo una partita di pallavolo da spiaggia. All’origine di ciò, la denuncia di una donna che quando ha visto il ragazzo “armaneggiare” con il proprio costume ha immediatamente riconosciuto le circostanze di un imminente crimine sessuale chiamando le forze di Polizia e firmando una denuncia per “tentativo di violenza sessuale”. Tre settimane di carcere preventivo, prima dell’ovvia sentenza di innocenza. Nessuna ripercussione per le forze di polizia e per la donna, ovviamente.


Ma poi diciamocelo, anche quando non guardano, gli uomini sono ingombranti. E bene hanno fatto alcune femministe svedesi a predisporre un blog in cui pubblicare le foto di uomini seduti in modo scomposto sui treni e autobus del paese della Gender Equality, per combattere la cultura machista in pubblico. Citando la donna capofila di tale iniziativa, M. Vingren, tali comportamenti “rappresentano non solo una espressione di potere ma una forma stereotipata di mascolinità” perché “quando gli uomini prendono più posto di quanto necessariamente dovuto sui mezzi pubblici, non fanno altro che ribadire inconsciamente un’espressione di potere nella vita quotidianail fatto che gli uomini occupino più spazio nella aule scolastiche, nelle sale riunioni, eccetera, è parte di un’oppressione strutturale di cui non tutti sono consapevoli; il fatto che gli uomini siedano con le gambe più larghe per via dei genitali non è una ragione validatali comportamenti sono parte integrante del sistema che porta le donne ad essere oggetto di violenza domestica, stupro e avere stipendi più bassi”.

Grazie alla Svezia per tali continue lezioni. Tanto è possibile leggere nella postura di un uomo, figuriamoci nel suo sguardo. Tutto sommato quella svedese è un’iniziativa commendevole, da parte di un paese in cui il personale degli alberghi è addestrato a sorvegliare i sui ospiti  e chiamare la polizia quando un uomo si presenti in stanza con una donna troppo più giovane (tradizione mutuata dalla Stasi della DDR) e che fino al ’76 aveva in vigore una legge per sterilizzare le donne che fossero affette da malattie e diversità genetiche, e che ha mantenuto tale legge per i transgender fino al 2013; non resta che augurarci che si installino il prima possibile delle webcam nelle toilette dei treni e delle stazioni ferroviarie per assicurarci che gli uomini svedesi non perseverino nella loro abitudine di urinare in piedi, nonostante gli sforzi fatti per mettere al bando tale pratica.

Ma se l’Italia deve guardare alla Svezia, la Svezia deve rivolgere uno sguardo attento ad Est, dove altri hanno già provveduto ad iniziative di grande prospettiva illuminista.

Per le femministe della borghesia occidentale, le lontane Indie sono il luogo di indicibili angherie verso il genere femminile, di stupri di gruppo accettati dalla comunità e dei matrimoni forzati. Per gli indiani invece, l’India è un continente fatto di mille sfaccettature, culture, religioni, in cui avviene un po’ di tutto, stante anche la dimensione demografica di un agglomerato di regioni che è più corretto definire le Indie. E’ una regione dove non è raro lasciarsi morire di fame pur di non uccidere e “umiliare” animali sacri; è una regione di grandi differenze economiche, una regione in cui in alcune aree esiste ancora la differenza di classe che si trasmette per generazioni (i paria), una regione del mondo in cui esistono ambiti tribali in cui, come in tutto il mondo, si verificano episodi di violenza personale, che colpiscono in grande prevalenza gli uomini, salvo fare prima pagina quando ne sono vittime le donne. A tal proposito ricordo un episodio lavorativo, occorso nella primavera del 2012, di una conversazione con alcune colleghe sulla correlazione tra violenza e la crisi famigliare; sebbene fosse fuori tema, una collega se ne usci con il riferimento ad un recente fatto di cronaca relativo ad uno stupro di gruppo avvenuto in India; inutile dire che nello stesso episodio un ragazzo era stato massacrato di botte, ciò non aveva avuto risalto nelle cronache, ed era noto solo a chi fosse andato ad approfondire le notizie, e la mia collega non era tra questi. E’ stupefacente notare la capacità dei media di influenzare il senso di insicurezza femminile su fatti che avvengono a migliaia di km di distanza e in contesti culturali, climatici, economici, religiosi avulsi dai nostri. La capacità di stimolare un senso di sorellanza globale per cui la vita o i problemi di un “sorella” lontana sono sentiti più vicini dei problemi tangibili di un “fratello” a pochi centimetri di distanza. E questa “sorellanza” sale sia istituzionalmente che nei media della nostra opulenta società e ridiscende come pressione politica (ed economica) sui governi locali di Paesi ameni perché intervengano sulla loro primitiva società in modo che la loro cultura sia più “compatibile” con le nostre sensibilità, paure e, ovviamente, i nostri interessi economici. E così nelle Indie il programma (Food Security Bill) di lotta alla povertà sponsorizzato dall’ONU per incrementare lo Human Development Index e ridurre il Global Gender Gap Index, prevede la distribuzione sussidiata dallo Stato a circa il 76% della popolazione; una distribuzione un po’ particolare perché i destinatari ufficiali sono solo le donne, per cui gli uomini possono ricevere il cibo “sussidiato” solo se non c’è una donna nella famiglia. Questo in un paese in cui nel 2012, per la fame, si sono suicidati circa 13,000 agricoltori. E così, oggi, in alcune aree delle Indie un uomo può finire in carcere per induzione al suicidio, anche quando il suicidio non avviene, sulla base delle sole dichiarazioni della mancata vittima che dichiari di aver pensato di suicidarsi per colpa del marito. E le pressioni del femminismo, made in ONU, sono state così efficaci da aver reintrodotto le buone e sane ricette del passato sui mezzi pubblici; posti e carrozze su autobus e treni riservati alle donne. E, a scanso di equivoci, i posti riservati negli ambienti comuni sono quelli davanti, onde, ovviamente, scongiurare che le donne possano sentirsi ghettizzate, sedendo in fondo. E per essere ulteriormente chiari, tali posti sono riservati in senso esclusivo, e non possono essere occupati, anche se liberi, dagli uomini, salvo incorrere nella mano violenta della legge. E così mentre i vagoni “rosa” rimangono parzialmente inoccupati, gli uomini devono stiparsi nei rimanenti posti e vagoni, dove la sotto-capienza facilita ulteriormente il verificarsi di episodi di violenza e criminalità; ma ovviamente quello è problema tra uomini, se la vedano tra loro. Questo succede a 100 anni precisi dalla nascita di Rosa Louise Parks.

Il dubbio che quello Indiano sia stato un progetto pilota in terra franca per poi farne un rilascio occidentale, è più che legittimo. Ed in effetti qualcosa si sta muovendo ai confini con l’Italia e da qualche la compagnia Austriaca Obb prevede scompartimenti con posti riservati alle sole donne. Analoga iniziativa in Cile.

Ma forse ancora meglio hanno fatto gli statunitensi nel 2014, in particolare a Los Angeles, richiamando a sani costumi l’utenza maschile onde limitare il rischio di “violenza sulle donne”, con un illuminato manifesto apposto nei vagoni della metropolitana. Cosa dice il manifesto? Traduciamo, letteralmente, dall’inglese:

Rispetta le nostre passeggere donne

Sei pregato di trattenerti da quanto segue:

  • Fissarle
  • Masturbarti
  • Seguirle
  • Toccarle in modo non desiderato
  • Avviare conversazioni non desiderate
  • Chiedere alle donne da dove vengono

Queste azioni creano uno spazio non sicuro e contribuiscono alla violenza contro le donne.

Se non riesci a trattenerti dal disturbare altri passeggeri, sei pregato di cambiare posto e notificarlo agli operatori del servizio.

US

Non sappiamo se negli Stati Uniti ci sia un epidemia di masturbazioni in pubblico, ma evidentemente è ritenuto appropriato rammentare il divieto ai passeggeri uomini. Dei nuovi comandamenti “di genere” da rammentare agli uomini se desiderano condividere con le donne gli scompartimenti misti dei mezzi di trasporto.

Quello che è stupefacente è la considerazione morale del “target”, dell’essere destinatario del messaggio. Il target è un uomo a cui si può vietare di guardare, perché se dall’altra parte della traiettoria visiva c’è una donna, sta compiendo un atto illecito. E al contempo un essere a cui non si riconosce l’autocontrollo, il raziocinio, in buona sostanza la natura umana, ma che può essere ricondotto nei binari giusti con un semplice cartello, un po’ come un cavallo con una stretta alle briglie, o un cane con una tirata al guinzaglio.

Cari amici Cileni ed Indiani, a voi tutto sommato è andata meglio che agli Statunitensi. Almeno nei vagoni per soli uomini, voi potete fissare, parlare agli sconosciuti e, diciamocelo, se proprio vi scappa, potete anche masturbarvi.


Ammettiamolo, il treno è un mezzo promiscuo…e cosa dire degli autobus? Io ti capisco o’ donna; il rischio di trovarsi nello stesso compartimento con un uomo, magari seduto con le gambe larghe, e che addirittura rivolga lo sguardo verso di te, è un’angoscia gratuita che deve essere evitata, se possibile. E se possibile, perché non evitarla?

L’aereo va già meglio, i posti sono spesso prenotati, e il prezzo del biglietto riduce la possibilità di incontri con classi sgradite. E incrociare lo sguardo è più difficile, se non per vista periferica. In questo caso si può ovviare con la distribuzione di paraocchi, se vanno bene ai cavalli perché non agli uomini?

Ma se gli aerei sono ancora sufficientemente sicuri per le donne, non lo sono per i bambini. Non doveva esserne consapevole Johnny McGirr, un uomo australiano che nell’Agosto del 2012, in viaggio di lavoro, decise di avvalersi dei servizi della compagnia aerea Virgin, ed ebbe l’improvvida idea di sedersi accanto a due ragazzi. A salvaguardare l’incolumità fisica e psicologica dei due minori, per fortuna, ha provveduto l’hostess prontamente intervenuta a far spostare il probabile pedofilo in un altro posto, onde prevenire abusi e tentazioni. L’uomo infatti non era a conoscenza della politica dell’azienda che prevede l’impossibilità per una persona adulta di sesso maschile di sedersi vicino a minorenni non accompagnati. A detta infatti della portavoce della compagnia aerea “poiché è noto che la maggioranza degli abusi sono commessi da uomini, è legittimo per la compagnia ridurre il rischio di abuso dei minori, eliminando a monte la possibile situazione”. Ammetto la mia ignoranza sulle statistiche di abusi in volo, ma devo segnalare una leggera inconsistenza in tale regolamento, sul quale ovviamente non ho nulla da obiettare, ma che ritengo incompleto. Com’è noto sono in maggioranza di sesso maschile anche i ladri, gli assassini, i dirottatori, terroristi, eccetera. Perché mai la compagnia si ostina ad accettare il rischio di furti, omicidi, sabotaggi, ammettendo passeggeri di sesso maschile? Ritengo, personalmente, la norma incompleta.

Ma Johnny McGirr può consolarsi, perché è in buona compagnia. Nel Gennaio del 2010, Mirko Fischer era in viaggio su un volo della compagnia British Airways insieme a sua moglie. Mirko, sfortunatamente si trovava a sedersi tra la moglie ed un ragazzo di 12 anni non accompagnato. Accortosi dell’allarmante situazione uno steward ha chiesto gentilmente a Mirko di spostarsi; e quando il presunto pedofilo si è opposto alla richiesta apponendo la ridicola scusa di voler rimanere vicino alla propria moglie incinta, lo steward ha insistito perché il volo non poteva partire in quell’imbarazzante situazione. Mirko si è quindi arreso, onde non trovarsi ammanettato con una lampada puntata in faccia. A valle dell’episodio il buon Mirko ha successivamente fatto causa alla compagnia aerea, vinto e devoluto gli introiti del risarcimento ad un’associazione che si occupa di assistenza ai minori. E prima di Mirko e Johnny, analogo destino era toccato nel 2005 a Michael Kemp su un volo della compagnia GB Airways e a un politico inglese, Boris Johnson, a cui era stato chiesto di allontanarsi dal proprio figlio. Altre compagnie quali la Qantas e la Qir New Zealand hanno simili norme, e probabilmente molte altre compagnie. Le compagnie citate sono state solo ingenue e si sono fatte beccare con “le policies nel sacco” per gestione maldestra delle prenotazioni, per overbooking o per impossibilità di allocare i posti al check-in, in particolare su tratte low-cost. E’ assolutamente verosimile, che in fase di allocazione dei posti, tali norme siano implementate nei sistemi informatici per impedire, il più possibile, tali sconvenienti situazioni, di vicinanza tra un uomo adulto, minorenni e donne.  Queste compagnie hanno tutta la mia solidarietà, perché devono arrangiarsi come possono; in questi tempi di ristrettezze economiche è difficile realizzare aree protette come invece risulta possibile su autobus e treni.

Alle compagnie aeree fa degna compagnia una impresa assicuratrice che ha proposto (non provocatoriamente) di realizzare corsie preferenziali nelle strade (non bastassero quelle in altri ambiti) per le donne, per allontanarle dal pericolo che gli uomini rappresentano alla guida.

Lo ammetto, la trattazione dei “trasporti” è incompleta, e l’omissione dei mezzi di trasporto marittimo è una mancanza grave. Ma non è escluso che si possa porvi rimedio in futuro laddove le compagnie marittime provvedano colmare le proprie lacune normative prevedendo la possibilità di gettare in mare gli uomini che si accostino troppo o guardino eccessivamente donne e bambini.

D’altronde gli uomini non annegano, l’abbiamo imparato a suo tempo col Titanic.

Personalmente, a me piace viaggiare in seconda classe, purché non paghi il biglietto di prima.


RIFERIMENTI

http://www.corriere.it/cronache/08_aprile_17/sguardo_treno_condanna_634efb44-0caa-11dd-aecb-00144f486ba6.shtml

http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/1298587/toglie-la-sabbia-dal-costume–accusato-di-atti-osceni–in-carcere-per-tre-settimane.html

http://www.vice.com/read/swedish-feminists-are-so-bored-theyre-telling-men-how-to-sit-on-the-bus

http://www.lettera43.it/stili-vita/svezia-i-transessuali-minacciano-di-fare-causa-allo-stato_43675100630.htm

http://www.dnaindia.com/india/1856669/report-cabinet-clears-ordinance-to-implement-food-security-bill

http://www.miserveunavacanza.com/scompartimenti-solo-donne-sui-treni-del-brennero-8589.html

http://edition.cnn.com/2012/08/14/travel/unaccompanied-children-flights

http://www.dailymail.co.uk/news/article-1243625/Businessman-Mirko-Fischer-sues-British-Airwars-treating-men-like-perverts.html

http://en.wikipedia.org/wiki/Airline_sex_discrimination_policy_controversy

http://pinkzones.com/


Articolo tratto dal libro
“Viaggio verso Utopia – L’impatto con il femminismo e il naufragio nella misandria”

Una risposta a "Viaggio in seconda classe"

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